SE ANDRETE ALL 'ART. DEL 02/07/2019 SU QUESTO BLOG NEI MIEI COMMENTI MI CHIEDEVO SE LA STRUTTURA FOSSE STATA CALCOLATA COME UN TELAIO, L'ARTICOLO DEL SOLE FUGA I MIEI DUBBI " ERA STATO CALCOLATO COME UN TELAIO E PERCIO' UN SOLO PICCOLO CEDIMENTO DI UNA PARTE DELLA STRUTTURA POTEVA FAR CROLLARE IL PILONE INTERESSATO
Servizio14
agosto 2018-14 agosto 2020
Perché è crollato il Ponte Morandi: che cosa
sappiamo due anni dopo
Perché il Ponte Morandi è crollato?
Ufficialmente non si sa ancora. Ma gli sviluppi delle indagini dicono
che saperlo non è più così importante
di Maurizio Caprino
Perché il Ponte Morandi è crollato? Per capirlo, sono stati
mobilitati persino i satelliti. Più volte e da più parti, quasi
sempre con molta discrezione per non alimentare indiscrezioni
giornalistiche. La verità è, per quanto se ne sa finora, che una
risposta netta non è arrivata nemmeno dallo spazio. Ma forse una
verità è già emersa. Viene da un’indagine collaterale e potrebbe
non portare a condanne clamorose, però ci dà un quadro di come sono
state gestite sinora le autostrade italiane. Con responsabilità
politiche e imprenditoriali.
Il Ponte Morandi era una
costruzione nota in tutto il mondo per le sue soluzioni
tecniche ardite. La contropartita era che - al netto di accuse e
polemiche su degrado e manutenzione - non
aveva ridondanze. Vuol
dire che, se cede una parte, le altre non sono dimensionate per far
sì che tutta la struttura regga.
Perché
la struttura cede
Bisogna tenere presente che l’equilibrio
di una struttura del genere è determinato da un legame a catena
tra i vari elementi che la compongono. Se si rompe un elemento, viene
meno il legame e quindi l’equilibrio. Questo spiega come mai la
pila 9 del Morandi è crollata completamente. All’indomani del
crollo, le indagini giudiziarie sono state mirate su uno strallo.
Quando se ne rompe uno, accadono quattro cose:- l’estremità di
impalcato a cassone collegata allo strallo che si rompe non ha più
sostegno e collassa (sotto il peso dell’impalcato tampone
successivo, che non è retto da alcuna pila ed è solo appoggiata
all’estremità del cassone) perché resta appesa solo allo strallo
che si trova dalla parte opposta della carreggiata, che non è
dimensionato per reggerla da solo;- lo strallo collegato alla sommità
con quello che ha ceduto non ha più l’ancoraggio superiore e viene
trascinato verso il basso dalla sua corrispettiva estremità
d’impalcato a cassone, la quale perde anch’essa il sostegno e
collassa sotto il peso dell’impalcato tampone successivo;- il
collasso di due stralli e del cassone squilibra tutta la pila,
che crolla;- i due impalcati tampone contigui alla pila entrata in
crisi, rimasti privi di appoggio su un’estremità, cadono.
Ma, dato il legame a catena che
c’è tra gli elementi di una pila, gli stessi effetti si possono
avere se
cede per primo un
altro di tali elementi. Cambia
solo l’ordine temporale
dei cedimenti.
Si arriva al crollo della pila
anche quando cedono elementi diversi da quelli finora descritti. Come
la sella (quella sorta di traversa superiore della pila, che
fa da “spartiacque” tra due stralli collegati e se si rompe li fa
cadere).
O un impalcato tampone, perché la pila si trova
improvvisamente senza il peso di tale impalcato e flette (fino a
crollare) dalla parte opposta, sotto il peso dell’altro impalcato a
cassone che le si appoggia.
Le indagini sulla dinamica del crollo
Ora, a distanza
di due anni, non si sa ancora con certezza quale elemento abbia
ceduto prima. L’incidente probatorio sulle cause del crollo, atteso
per inizio 2020, è slittato di un anno per controversie fra i periti
ed emergenza Covid. La perizia degli esperti nominati dal gip, dopo
varie proroghe, dovrà essere consegnata solo il 31 ottobre.
Nel frattempo, chi non è parte in causa, la base più solida per
ragionare sembre essere l’ormai famoso “
video Ferrometal”,
ripreso
dalle telecamere di sorveglianza di quest’azienda, le uniche a
inquadrare sufficientemente la pila 9 nel momento del collasso.
Si vede lo strallo di sud ovest (il primo che incontrava sulla sua
carreggiata chi procedeva verso Genova) rompersi in un punto vicino
alla sommità, che nelle perizie è diventato il
reperto 132,
andato agli onori delle cronache come
prova regina.
Ma da quando il video è diventato pubblico,
nessuno si è
sbilanciato a dire con certezza che la prima parte a rompersi è
stata lo strallo: il video non è inequivocabile, perché l’impianto
di videosorveglianza non aveva un’elevata frequenza di frame
ripresi e quindi ci sono vari istanti non coperti da immagini. Ciò
ha spinto qualcuno a credere che il filmato sia stato diffuso con
tagli o comunque manipolazioni, ipotesi seccamente smentita dalla
Procura.
C’è poi quello
che hanno visto i satelliti che passavano
in corrispondenza di Genova quel 14 agosto 2018, alle 11,36. La
Procura si è subito mossa anche a livello internazionale per
acquisire i riscontri. Ma dei risultati non si è saputo alcunché di
rilevante.
Sinora la Procura ha molto battuto sull’ipotesi dello strallo,
pur senza ostentare certezze. E sembra privilegiarla ancora. Se fosse
confermata, chiamerebbe in causa non solo il gestore del ponte
(
Autostrade per l’Italia, Aspi, che fa capo alla famiglia
Benetton) e la
Spea (dello stesso gruppo) che ha fatto la
maggior parte dei controlli, ma anche il
ministero delle
Infrastrutture: per gli stralli della pila 9, stava per partire
un intervento di rinforzo, approvato dalle strutture ministeriali in
tempi non rapidi e senza accorgersi che sarebbe stato urgente.
Ma il 31 luglio 2019 è stata
depositata un’altra perizia: quella in cui i tre periti
nominati dal gip (Gianpaolo Rosati, Massimo Losa e Renzo Valentini)
descrivono le condizioni in cui si trovava il viadotto prima di
crollare. E la descrizione parla soprattutto di corrosione diffusa
non solo sugli stralli (anche se Autostrade per l’Italia sostiene
che potrebbe non essere sul punto che si è rotto), ma anche in
diverse parti della struttura, con assenza di interventi di
manutenzione che potessero rallentarla o eliminarla. Soprattutto
su stralli, impalcati a cassone e impalcati tampone. Tra l’altro,
la perizia conferma le conclusioni cui era arrivata a settembre 2018
la commissione ispettiva del ministero delle Infrastrutture,
prevalentemente esaminando tutti i documenti relativi alla
costruzione e alla manutenzione del ponte.
I difetti di costruzione
La perizia ha riscontrato
anche alcuni difetti di costruzione, in parte già noti (persino al
progettista, Riccardo Morandi, che nel 1981 fece una relazione
abbastanza preoccupata sullo stato del viadotto, che all’epoca
aveva appena 14 anni). Nessuno si è sinora sbilanciato sul peso che
potrebbero aver avuto.
La strategia difensiva di Aspi , ora che sono state scartate tutte
le cause fortuite (maltempo, attentati, cadute di materiali
pesantissimi da camion in transito), punterà verso difetti occulti:
un operatore qualificato come Aspi dovrebbe avere mezzi sufficienti
per indagare a fondo sulle opere che gestisce, ma nel corso del 2020
il tema dei difetti di costruzione è emerso come una costante della
rete autostradale italiana più vecchia.
Il caso più recente è quello delle
gallerie,
nato sempre in Liguria. Il 22 luglio 2020, pochi giorni dopo
l’accordo parziale Governo-Benetton che ha evitato la revoca della
concessione ad Aspi, è nata anche una
contestazione
formale del Mit ad Aspi. Ciò dimostra quanto sia alta la posta
in gioco e la conferma è arrivata ai primi di agosto: la trattativa
sull’assetto futuro di Aspi si è arenata sul valore delle azioni
(influenzato anche da quanto i futuri soci dovranno stanziare per
risanare la rete, si parla di
20 miliardi in un decennio o
poco più) e sulle manleve per i soci subentranti per possibili danni
derivanti dal degrado della rete.
Stavolta i Benetton e i loro manager
hanno un interesse opposto rispetto a quello che avevano quando hanno
impostato la strategia difensiva per il crollo del Morandi. E infatti
nella partita per la loro uscita da Aspi sostengono la tesi opposta a
quella che finora ha fatto loro comodo davanti ai pm di Genova: i
difetti occulti non contano, perché stanno subentrando azionisti
qualificati, in grado di analizzare e valutare con una due
diligence l’azienda che stanno rilevando.
Monitoraggi insufficienti, filoni e intercettazioni
imbarazzanti
Un altro punto di contatto tra la perizia, le
convinzioni della Procura e le conclusioni dei tecnici ministeriali è
l’insufficienza dei sistemi di monitoraggio, se non addirittura una
volontaria sottovalutazione della gravità di difetti visibili
anche a occhio nudo. Su questo si muovono anche altri filoni
d’indagine nati da quello sul Morandi:
- quello sui
report ispettivi edulcorati sulle condizioni
di altri sei viadotti in Liguria, Abruzzo, Campania e Puglia, aperto
già nell’autunno 2018;
- quello sulle
ispezioni nelle gallerie (dopo il crollo di
2,5 tonnellate di cemento dalla volta della galleria Berté sull’A26
il 30 dicembre 2019);
- quello sulle
barriere di sicurezza fonoassorbenti Integautos,
installate su 60 chilometri di rete Aspi senza adeguati calcoli e con
materiali di dubbia qualità (dal 2008 quello degli elementi
fonoassorbenti era diventato un business per Aspi, perché le
relative spese sono ben remunerate dalle tariffe di pedaggio), aperto
nell’autunno 2019.
Fino all’estate 2019, Autostrade per l’Italia ha respinto
seccamente tutte le accuse. Poi è stata costretta a cambiare
strategia di comunicazione: il 13 settembre la Procura di Genova ha
fatto arrestare tre manager autostradali e ne ha fatti interdire
altri, nell’ambito dell’inchiesta sui report ispettivi dei
viadotti. Nell’ordinanza del gip, le intercettazioni e le
registrazioni trovate dalla Guardia di finanza.
Materiale
imbarazzante, da cui paiono emergere una consapevolezza delle
condizioni di degrado della rete e la volontà di risparmiare sulle
manutenzioni, per non diminuire gli utili degli azionisti.
D’altra parte, già poco dopo il crollo del Ponte Morandi Aspi
aveva avviato una
campagna straordinaria di controlli e una
revisione delle procedure, collaborando col ministero delle
Infrastrutture e tre università a sperimentazioni che sono sfociate
in linee guida per la manutenzione dei viadotti, presentate il 9
agosto 2019. Solo una misura preventiva o anche un’indiretta
ammissione di colpa?
A corroborare questa seconda ipotesi c’è anche il fatto che i
periti del gip e la commissione ministeriale d’inchiesta sul crollo
del Morandi condividono pure i rilievi sul fatto che sul viadotto
genovese (come su tante altre opere strategiche) nessuno aveva mai
valutato il
rischio sismico, come era obbligatorio dal 2003
(ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri emanata dopo
il terremoto del Molise, quando crollò anche una scuola).
Anche il ministero ha responsabilità
Nella montagna
telematica di documenti sequestrati o acquisiti dalla Guardia di
finanza di Genova c’è anche traccia del passaggio del dossier sul
Morandi sul tavolo dei consigli di amministrazione di Aspi e della
controllante Atlantia, nell’ambito delle procedure di valutazione
dei rischi aziendali. E c’è stato un periodo in cui il viadotto
genovese era stato classificato a rischio.
Un problema per i top manager (gli interrogatori sono iniziati ai
primi di agosto 2020 con il presidente di Aspi, Giuliano Mari), ma
non solo per loro: nel cda di Aspi siede anche un
rappresentante
dei ministero delle Infrastrutture. Ha percepito qualcosa? Ha
chiesto ulteriori spiegazioni? Ne ha riferito al ministero? Non si sa
ancora.
Ma non stupirebbe se si difendesse dicendo che l’articolo 14 del
Codice della strada lascia ai gestori tutta la responsabilità sulle
condizioni delle infrastrutture che gestiscono. Quello italiano pare
un sistema fatto apposta per coprire situazioni opache, come dimostra
il
balletto
di responsabilità Aspi-Mit sul caos delle gallerie liguri che ha
contrassegnato il 2020.
I satelliti radar
Si torna così al tema
dell’insufficienza dei monitoraggi effettuati da Aspi. Che potrebbe
essere dimostrata dai satelliti radar, che emettono onde radio, sono
in grado di ricostruire tutto quello che accade al suolo. Questa
tecnologia si chiama
interferometria Sar terrestre.
Finora l’unico studio sul Ponte Morandi che risulta pubblicato
(il 12 giugno 2019, sulla rivista scientifica Remote Sensing, portale
Mdpi) e accessibile a un pubblico non strettamente specialistico è
di
sei studiosi italiani: Pietro Milillo, Giorgia Giardina,
Daniele Perissin, Giovanni Milillo, Alessandro Coletta e Carlo
Terranova. È stato condotto su dataset di Cosmo-SkyMed.
Guardando le rilevazioni sugli ultimi 15 anni di vita del ponte
(2003-2015), è emerso che
dal 2015 ci sono stati deformazioni e
spostamenti crescenti nella parte interessata dal crollo.
Potrebbe essere l’indizio di anomalie non rilevate con le
metodologie di controllo tradizionali, che si basano per la maggior
parte su ispezioni visive frequenti ed esami strumentali più rari.
Lo studio di Autostrade per l’Italia
A inizio 2019
gli esperti di Autostrade per l’Italia (Aspi, che gestiva il
viadotto ed è sotto indagine per il crollo) si sono rivolti a una
società specializzata in queste tecnologie, dai cui dati relativi al
periodo 2009-2018
non sarebbero emerse anomalie.
Aspi ha poi chiesto un commento all’articolo di Remote Sensing.
Secondo la società:
- i dati
non hanno significatività
statistica, perché ottenuti utilizzando valori di spostamento
limitati e isolati, senza assumere un caposaldo esterno alla
struttura e quindi che non si muove con essa;
- gli spostamenti
nord-sud non sarebbero rilevanti, in quanto erano nella stessa
direzione della traiettoria del satellite e la pila 9 (crollata)
aveva orientamento diverso (est-ovest);
- comunque gli spostamenti
rilevanti sarebbero solo quelli verso l’alto (che lo studio Remote
Sensing non evidenzierebbe) e bisognerebbe tener conto della
naturale
elasticità attorno all’asse verticale di ciascuna pila, tipica
di quel tipo di strutture.
Pietro Milillo, scienziato italiano che lavora alla Nasa ed è il
primo firmatario dello studio Remote Sensing, ha dichiarato al Sole
24 Ore che
il lavoro è stato accurato e in linea con gli
standard internazionalmente accettati, ma trattandosi comunque di un
approccio innovativo resta sempre un margine di discussione.
Questo articolo è stato aggiornato il 14 agosto 2020
SV 14/09/2020